Il Virtuoso Ecosistema della Reputazione
In questo periodo storico, il mondo professionale – e non solo – si sta adattando alla naturale evoluzione della nostra società. Tra le trasformazioni da assecondare e cavalcare emergono in modo esponenziale, ma forse ancora troppo poco esplicito, le aspettative che le imprese devono soddisfare al fine di coltivare un asset strategico per il successo: la reputazione.
Siamo sicuramente tutti oramai consapevoli della svolta che l’esplosione digitale ha dato alle modalità attraverso cui condizionare e monitorare gli atteggiamenti degli stakeholder nei confronti del proprio brand, ma cosa chiede il mercato? Quali sono i fattori che i consumatori di oggi considerano nel momento in cui scelgono di comprare un servizio o un prodotto, raccomandare un brand, lavorare per un’organizzazione e investire?
La natura dinamica e multiforme della reputazione abbraccia la sua stessa necessità di evolvere a seconda della cultura sociale di riferimento. È importante soddisfare i bisogni della società in quanto le percezioni e valutazioni degli stakeholder costituiscono la prima fonte di opportunità di un’organizzazione. Pertanto, le fasi di creazione, potenziamento, mantenimento e difesa della reputazione implicano un costante aggiornamento sui processi relazionali e valoriali che muovono e impattano gli stakeholder. Ciò richiede all’azienda un contatto più o meno diretto con il mondo esterno e, soprattutto, un forte commitment.
La società attuale – grazie anche ai valori profondi emergenti – chiede su più fronti un’attenzione particolare alle relazioni umane, all’umanizzazione dei processi e dei sistemi, e alla cura del nostro pianeta. Non è un caso infatti che il tema della sostenibilità sia sempre più diffuso e che molte aziende esistano non più per la mera massimizzazione dei profitti ma per uno scopo più ampio e ambizioso che apporti del bene e del buono alla società. Insomma, tutto in linea con la Consumer Social Responsibility (CnSR), esplosa ormai da qualche anno, che rende il consumatore un attore incline all’etica, al rispetto per la propria comunità, al bene comune e alla gestione consapevole dell’ambiente.
In linea con questo nuovo scenario, per alimentare positivamente la propria reputazione l’azienda di oggi deve andare oltre le tradizionali comunicazioni aziendali. La richiesta di “riscoprire il nostro essere umani” trova risposta nei processi relazionali più innati e spontanei che spesso sul lavoro vengono repressi in quanto non direttamente connessi con i numeri. Essere disponibili ad aiutare un collega senza entrare in competizione, chiedere “come va?” alla macchinetta del caffè e non scappare appena spunta il bicchiere pieno, fare un apprezzamento a un collaboratore che ha svolto un ottimo lavoro, accompagnare il cliente al prossimo passo verso il successo e non fermarsi “alla miglior offerta”, fare una scelta strategica anche in ottica di benessere sociale e non solo di fatturato. Questi, come tanti altri comportamenti agiti nel quotidiano e spesso in modo inconsapevole, creano in modo spontaneo la reputazione aziendale.
La proprietà transitiva degli effetti di tali comportamenti fa sì che si crei un potente passaparola tra colleghi e conoscenti (magari aspiranti dipendenti), tra utenti del web, tra consumatori e finanziatori. Queste azioni diventano il nuovo modo di comunicare la propria identità e i propri valori, e qui le organizzazioni non hanno scampo: gli stakeholder realizzano in modo immediato la coerenza dell’agito con le proprie aspettative e sistemi morali. E non può trattarsi di un comportamento occasionale: gli stakeholder credono solo nelle organizzazioni che rendicontano la coerenza e la continuità delle proprie azioni concrete creando intorno a sé un virtuoso ecosistema reputazionale.
Gaia Urati
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