Le forchette di Munari
Fin dai tempi dei Borbone, alla fine del 1700, la forchetta ha 4 rebbi, o denti, ed è uno strumento utile a raccogliere il cibo e accompagnarlo alla bocca.
Eppure c’è stato un artista, designer, grafico, scrittore, artigiano, che ci ha visto qualcosa di più: 4 dita, un palmo, un polso, un gomito. Proprio come una mano. E come una mano, anche la forchetta diventa “parlante”, e può comunicare gesticolando.
Bruno Munari, come spiega lui stesso in un interessante lezione tenuta nel 1992 presso l’Università di Venezia, quando ebbe quest’intuizione, cominciò a sperimentare, piegando con una pinza il metallo dei rebbi delle forchette e dei loro manici, dando vita a un coro di mani parlanti.
Munari ha sempre osservato la realtà attraverso le lenti della meraviglia: per lui l’infanzia era uno stato permanente della vita, da conservare dentro di sè. Un approccio che trova nel gioco, o “ginnastica mentale”, il suo sbocco più interessante: i bambini giocano infatti con straordinaria serietà.
Da pedagogo ha elaborato i “laboratori per l’infanzia”, il cui metodo può essere riassunto con la massima: “se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco”.
Che cos’è la fantasia? Cosa l’immaginazione? E la creatività? In assenza di risposte codificate, Munari ha cominciato a cercarle da solo, con la sua immensa produzione di opere, libri, oggetti di design.
Ancora oggi resta un punto di riferimento per un’educazione alla conoscenza che passa attraverso la meraviglia.
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